Il decoro architettonico può definirsi come l’insieme armonico delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali, conferendo alle varie parti dell’edificio e all’edificio stesso un particolare pregio estetico.
Il decoro architettonico è, quindi, l’estetica complessiva data dall’insieme delle linee e strutture ornamentali, che conferisce una armoniosa fisionomia ed un’unica impronta all’aspetto dell’edificio (cfr. Cass., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1286).
Prima di eseguire interventi architettonici, è conveniente considerare che la modificazione dell'aspetto dell'edificio potrebbe comportare un’alterazione del decoro. L'alterazione del decoro è una modificazione in senso peggiorativo dell'estetica dell'edificio cui segue un danno, economicamente valutabile, per le parti comuni e/o per le parti di proprietà esclusiva; senza danno, quindi, non v'è alterazione. L'onere della prova nei giudizi attinenti l'alterazione del decoro, è bene evidenziarlo, grava su chi se ne lamenta. Ad esempio: se l’assemblea ha deciso di modificare una parte comune dell’edificio e da questa modificazione, secondo Tizio, ne consegue un’alterazione del decoro dell’edificio, starà a quest’ultimo che la lamenta, nel momento in cui dovesse agire in giudizio, dimostrarne la ricorrenza.
Secondo la Cassazione l'apprezzabilità dell'alterazione del decoro deve tradursi in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l'innovazione viene posta in essere (così Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286).
Non tutte le trasformazioni, tuttavia, devono essere considerate alla stregua di alterazioni. Il decoro architettonico «può ritenersi pregiudicato non da qualsiasi innovazione, ma soltanto da quella idonea ad interromperne la linea armonica delle strutture che conferiscono al fabbricato una propria identità (Cass.. n. 14455 del 2009; Cass. n. 2755 l del 2005)» (Cass., sent. 22 novembre 2011, n. 24645).
In pratica, per valutare se un intervento lede o no l’estetica è necessario eseguire preliminarmente una analisi sullo stato attuale dell’estetica del fabbricato.
«Ai fini della lesione del decoro architettonico, cioè delle linee e delle strutture che connotano lo stabile e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità» si deve fare riferimento ad opere edili visibili ossia che hanno inciso sulla sagoma o la facciata dell’edificio e non, quindi, alle tende che non pregiudicano il decoro architettonico (Cass., sez. VI, 30 gennaio 2012, n. 1326).
Il tutto, però, ricordando comunque che l’ordinamento tutela il decoro architettonico in quanto bene comune il cui mantenimento è protetto anche a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare (cfr. Cass., sez. II, 4 aprile 2008, n. 8830).
La Cassazione (cfr. sent. 6 ottobre 1999, n. 11121), ha stabilito che i regolamenti condominiali possono contenere norme a tutela del decoro architettonico dello stabile, aventi la caratteristica di ridurre il potere della proprietà personale ed esclusiva del singolo (ibidem Cass., 29 aprile 2005, n. 8883 e Cass. n. 8731/1998).
Molte pronunzie sul decoro architettonico riguardano i condizionatori, i c.d. “split” esterni agganciati alle pareti. L’installazione dell’impianto di climatizzazione, abitualmente, comporta lamentele attinenti all’ antiestetica della struttura architettonica dell’edificio. In tal caso, secondo la giurisprudenza più recente, è considerato lecito installare un impianto di condizionamento non solo nelle parti di proprietà esclusiva, ma anche sulle parti di proprietà comune (es. muro perimetrale comune) rimanendo quali unici limiti gli eventuali danni per immissioni di rumore ed eventualmente di calore negli appartamenti dei condomini confinanti (ed i parametri di legittimità sono generalmente considerati la conformità alla normativa CEE e il certificato della ditta che lo installa).